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Vite sprecate nei laboratori


La sperimentazione animale non passa il vaglio della revisione sistematica

di Monica Oldani

Quello sull'opportunità e i limiti della sperimentazione animale è uno dei dibattiti più accesi e intramontabili della bioetica.
Tradizionalmente alimentato dalla contrapposizione tra gli argomenti razionali degli scienziati da un lato e le rivendicazioni morali degli animalisti dall'altro, si è da qualche tempo spostato su un piano diverso, in cui spunti critici nascono in seno alla comunità e scientifica stessa e in cui trovano spazio e dignità anche i temi, più strettamente filosofici, del diritto degli animali alla vita e al benessere. E addirittura dalle pagine del British Medical Journal arriva una valutazione di merito sulla sperimentazione animale, che lancia una sfida alla fiducia della sua attendibilità e utilità tout court e offre una conferma alle perplessità sollevate dalle ormai numerose associazioni, nazionali e internazionali, di medici e ricercatori scettici.
L'approccio rigorosamente evidence based dell'analisi condotta da alcuni componenti del britannico RATS (Reviewing Animal Trials Systematically) Group si preannuncia già nel titolo, che recita: "Dove sono le prove del fatto che la sperimentazione animale è utile per l'uomo?" Le prove, dati alla mano, sono sconvenientemente latitanti. Tanto da far concludere agli autori: "In linea di principio, non si dovrebbero effettuare nuovi esperimenti su animali fino a quando non venga fatto l'uso migliore di quelli esistenti e non sia stata valutata la loro validità e la loro generalizzabilità alla pratica clinica".

Il dubbio che molta della sperimentazione abbia poco senso nei termini della rilevanza clinica dei suoi risultati ha trovato argomenti fondanti nelle revisioni sistematiche - poche oltretutto - che hanno messo a confronto studi sugli animali e ricerche sull'uomo con riferimento a quesiti clinici particolari.
Per fare qualche esempio: la validità del calcio antagonista nimodipina nell'ictus non è confermata dagli studi sugli animali, i quali, in ogni caso, sono stati condotti parallelamente e non prima degli studi clinici; lo stesso si può dire delle ricerche sull'efficacia della terapia laser a bassa intensità nel migliorare la guarigione delle ferite, con l'aggravante che in questo caso i modelli animali sono un modello sperimentale poco adatto perché non presentano le complicanze tipiche della cicatrizzazione della cute umana; quanto alla trombolisi nell'ischemia acuta, gli studi clinici hanno rivelato un rischio di emorragie intracraniche che non era stato previsto in base ai riscontri negli animali.
"Le sei revisioni sistematiche trovate in Medline evocano un quadro sconfortante" affermano i ricercatori del RATS. "Nei casi esaminati i dati emersi dagli esperimenti sugli animali hanno avuto un peso così irrilevante che verrebbe da chiedersi perché questi siano stati compiuti e da mettere in discussione il fatto che fossero davvero indispensabili".
Alle riserve di fondo circa la trasferibilità di osservazioni fatte su specie molto diverse dall'uomo, si aggiungono colpevoli manchevolezze metodologiche, che le revisioni hanno individuato negli studi sugli animali. "A quanto pare, randomizzazione e valutazioni in cieco, che sono requisiti obbligatori per la sperimentazione clinica, non fanno parte degli standard di quella animale" denunciano gli studiosi. "Se gli esperimenti sono discutibili sul piano qualitativo e non forniscono informazioni utili alla ricerca medica, si può tranquillamente dire che animali, risorse economiche e tempo vengono sacrificati invano".

Conclusioni del genere non possono non scuotere le coscienze: far vacillare l'assioma dell'inevitabilità assoluta della sperimentazione animale, ma prima di tutto smuovere il senso di responsabilità dei ricercatori. E giungono in un momento in cui la crescente sensibilità nei confronti di questo tema raccoglie parti e interessi diversi attorno alla domanda di una migliore tutela per gli animali, compresi quelli da laboratorio, e di uno sviluppo più deciso delle metodologie alternative.
Anche in Italia, tale pressione incomincia a riflettersi nell'evoluzione legislativa e istituzionale in materia: è in dirittura d'arrivo la revisione di un decreto legislativo che definisce le norme per la protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, e a novembre, facendo seguito ad analoghe iniziative europee, è nata la Piattaforma italiana per i metodi alternativi (IPAM), composta da rappresentanti di istituzioni governative, mondo scientifico, industria e organizzazioni animaliste.
A livello regionale sono in esame, proprio in questo periodo, due proposte di legge lombarde che chiedono, tra l'altro, l'abolizione della sperimentazione a fini didattici, l'approvazione prioritaria di progetti di ricerca che non prevedano l'uso di animali, l'istituzione di un Osservatorio regionale sulla sperimentazione animale e il divieto di allevamento, cessione e utilizzo di cani e gatti per scopi scientifici. E in futuro, in soccorso all'impegno protezionista potrebbe venire anche la Costituzione, che con la modifica all'articolo 9, di recente approvata dalla Commissione affari costituzionali della Camera, si impegnerebbe a tutelare "le esigenze, in materia di benessere, degli animali in quanto esseri senzienti", facendo dell'Italia il secondo paese d'Europa, dopo la Germania, che riconosce agli animali questo status.

Tempo Medico n. 776 - 1 maggio 2004




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