Vivisezione, esperimenti con animali e sofferenza
di Enrico Moriconi
Presidente ASVeP Ass. Culturale Veterinaria di Salute Pubblica
La discussione sulla sofferenza si può definire come argomento "a prescindere" nel senso che su di essa sono chiamati a dare risposte anche coloro che sostengono la pratica degli esperimenti con e sugli animali. Spesso gli studiosi hanno cercato eludere il discorso, negando la capacità di soffrire degli animali oppure sostenendo che nel corso degli esperimenti si fa ricorso all'anestesia o, ancora, che il termine vivisezione non rispecchia ciò che avviene nei laboratori serve solo a suscitare ribrezzo e condanna. Queste tre affermazioni, purtroppo, non corrispondono alla verità.
In primo luogo affrontiamo la questione della capacità di provare dolore. Le attuali conoscenze anatomiche e fisiologiche ci consentono di affermare con certezza che ogni organismo, dal più semplice al più complesso, è in grado di provare dolore. A seconda della specie, l'apparato sensorio sarà più o meno complesso, ma ogni soggetto sarà in grado di provare il massimo dolore possibile che il suoi organi di senso sono in grado di percepire. In altre parole il massimo dolore per un ratto, equivale in proporzione, al massimo dolore che può provare un essere umano.
Anche l'affermazione circa l'utilizzo dell'anestesia, non è del tutto vera. E' abbastanza plausibile che gli interventi chirurgici si eseguano in anestesia, per avere l'animale immobilizzato. Tuttavia, quando sia possibile un contenimento fisico adeguato, è anche plausibile che si cerchi di risparmiare evitando l'anestetico.
In ogni caso la soppressione del dolore è relativa solo al momento dell'intervento. A partire dal risveglio, un momento chiaramente molto doloroso, non si interviene più contro il dolore perché la somministrazione del medicinale potrebbe incidere sull'evolvere della ricerca. Ed in ogni caso rappresenta un costo ritenuto superfluo.
Da ultimo affrontiamo la questione terminologica. È falso affermare, che gli esperimenti non siano vivisezione. Inizialmente con vivisezione si intendeva il sezionamento, cioè il taglio, la separazione di parti dell'animale vivo per studiarne il comportamento, in seguito è passato ad indicare qualsiasi intervento eseguito sugli animali che comporti il loro coinvolgimento fisico, in operazioni, asportazioni di parti o somministrazione di farmaci o altre sostanze che inducano dolore o sofferenza. Gli esperimenti attuali implicano una compromissione fisica degli animali, spesso la perdita della vita, sempre e comunque la perdita di una condizione di benessere psico fisico che ci autorizza a parlare di vivisezione anche quando non si sia in presenza di "sezionamento" vero e proprio, perché questo termine richiama con maggiore precisione il dolore che gli esperimenti con animali comportano.
Date queste premesse è evidente che al di là della questione scientifica in merito alla vivisezione, ovvero alla sua contestata validità sul piano dei risultati, una contestazione ormai portata avanti dall'interno del mondo medico-scientifico, esiste un problema etico che non può essere sottovalutato. Anche se si riuscisse a dimostrare che la vivisezione ha un senso sul piano della ricerca scientifica, data la capacità degli animali di soffrire, potremmo accettare di imporre loro determinate condizioni senza porci alcun problema sulla liceità di queste pratiche e sul nostro diritto morale di imporle ad altri esseri senzienti? E comunque, esiste una soglia oltre la quale non ci si dovrebbe spingere? Ed esiste la possibilità di limitare da oggi, da subito, questa atroce sofferenza che coinvolge milioni di animali in tutto il mondo?
Queste domande non riguardano, non possono riguardare solo gli addetti ai lavori, ma la coscienza di ciascuno di noi, di ogni cittadino in nome e per conto del quale questa sofferenza viene inflitta.
Vivisezione.
Nessuno scopo è così alto
da giustificare metodi così indegni.
Albert Einstein
Presidente ASVeP Ass. Culturale Veterinaria di Salute Pubblica
La discussione sulla sofferenza si può definire come argomento "a prescindere" nel senso che su di essa sono chiamati a dare risposte anche coloro che sostengono la pratica degli esperimenti con e sugli animali. Spesso gli studiosi hanno cercato eludere il discorso, negando la capacità di soffrire degli animali oppure sostenendo che nel corso degli esperimenti si fa ricorso all'anestesia o, ancora, che il termine vivisezione non rispecchia ciò che avviene nei laboratori serve solo a suscitare ribrezzo e condanna. Queste tre affermazioni, purtroppo, non corrispondono alla verità.
In primo luogo affrontiamo la questione della capacità di provare dolore. Le attuali conoscenze anatomiche e fisiologiche ci consentono di affermare con certezza che ogni organismo, dal più semplice al più complesso, è in grado di provare dolore. A seconda della specie, l'apparato sensorio sarà più o meno complesso, ma ogni soggetto sarà in grado di provare il massimo dolore possibile che il suoi organi di senso sono in grado di percepire. In altre parole il massimo dolore per un ratto, equivale in proporzione, al massimo dolore che può provare un essere umano.
Anche l'affermazione circa l'utilizzo dell'anestesia, non è del tutto vera. E' abbastanza plausibile che gli interventi chirurgici si eseguano in anestesia, per avere l'animale immobilizzato. Tuttavia, quando sia possibile un contenimento fisico adeguato, è anche plausibile che si cerchi di risparmiare evitando l'anestetico.
In ogni caso la soppressione del dolore è relativa solo al momento dell'intervento. A partire dal risveglio, un momento chiaramente molto doloroso, non si interviene più contro il dolore perché la somministrazione del medicinale potrebbe incidere sull'evolvere della ricerca. Ed in ogni caso rappresenta un costo ritenuto superfluo.
Da ultimo affrontiamo la questione terminologica. È falso affermare, che gli esperimenti non siano vivisezione. Inizialmente con vivisezione si intendeva il sezionamento, cioè il taglio, la separazione di parti dell'animale vivo per studiarne il comportamento, in seguito è passato ad indicare qualsiasi intervento eseguito sugli animali che comporti il loro coinvolgimento fisico, in operazioni, asportazioni di parti o somministrazione di farmaci o altre sostanze che inducano dolore o sofferenza. Gli esperimenti attuali implicano una compromissione fisica degli animali, spesso la perdita della vita, sempre e comunque la perdita di una condizione di benessere psico fisico che ci autorizza a parlare di vivisezione anche quando non si sia in presenza di "sezionamento" vero e proprio, perché questo termine richiama con maggiore precisione il dolore che gli esperimenti con animali comportano.
Date queste premesse è evidente che al di là della questione scientifica in merito alla vivisezione, ovvero alla sua contestata validità sul piano dei risultati, una contestazione ormai portata avanti dall'interno del mondo medico-scientifico, esiste un problema etico che non può essere sottovalutato. Anche se si riuscisse a dimostrare che la vivisezione ha un senso sul piano della ricerca scientifica, data la capacità degli animali di soffrire, potremmo accettare di imporre loro determinate condizioni senza porci alcun problema sulla liceità di queste pratiche e sul nostro diritto morale di imporle ad altri esseri senzienti? E comunque, esiste una soglia oltre la quale non ci si dovrebbe spingere? Ed esiste la possibilità di limitare da oggi, da subito, questa atroce sofferenza che coinvolge milioni di animali in tutto il mondo?
Queste domande non riguardano, non possono riguardare solo gli addetti ai lavori, ma la coscienza di ciascuno di noi, di ogni cittadino in nome e per conto del quale questa sofferenza viene inflitta.
Nessuno scopo è così alto
da giustificare metodi così indegni.
Albert Einstein
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