Una mucca inquina più delle auto
Ecco perchè una mucca inquina più delle auto
Rifiuti e gas, l'allevamento danneggia l'ambiente
di MIRELLA SERI
Inquina di più la mia macchina o la cotoletta che ho nel piatto? La questione è solo apparentemente paradossale. Ed è stata sollevata dall’ultimo manifesto vegetariano del guru Jeffrey Moussaieff Masson, «Chi c’è nel tuo piatto?» (Cairo editore). Uscito in America due mesi fa, il saggio di questo ex psicoanalista - che si è dedicato, nell’ultimo decennio, a numerosi best seller sulla psicologia animale - è oggi la bandiera dei neovegetariani in tempi di febbre suina.
Masson ha conquistato non solo le classifiche ma anche gran parte del popolo che, negli States, fa più opinione: quello di Hollywood. Da Julie Christie a Susan Sarandon a Jude Law, oggi più che mai dilaga negli studios il verbo degli aficionados di piatti integrali e verdurine. E questo avviene anche perché il predicatore (come riporta il «New York Times» nell’intervista a Masson) ha elaborato una speciale teoria neovegetariana sull’ampia gamma di veleni derivanti dalla nostra incontenibile voluttà carnivora.
Di che si tratta? Cifre alla mano, Masson avverte che la popolazione mondiale di mucche e maiali conta 2,5 miliardi di esemplari. I rischi? Un sovraffollamento che, prima ancora di finire nei supermercati e in pentola, alloggia negli allevamenti intensivi, le cosiddette - dagli animalisti - Dachau del mondo moderno. La disastrosa onda che ci sommergerà è proprio quella dei debordanti, incontrollabili escrementi dei nostri futuri alimenti. Tanto per farci un’idea: il letame mondiale di bovini e suini ammonta a 80 milioni di tonnellate. Gli insediamenti umani, invece, sono capaci di produrne al massimo 30 milioni. Negli Usa, il quantitativo di rifiuti animali è 130 volte superiore a quello degli uomini. Una città di 50 mila abitanti produce feci pari a quelle di un solo allevamento di maiali.
E allora? Cosa ne deriva? Nei tribolati campi di detenzione - imbottiti di antibiotici, ormoni, venefiche farine - questi eserciti di mucche, scrofe e porcelli ma anche di polli e galline si qualificano come vere e proprie officine di metano.
Il 20 per cento delle emissioni totali di questo gas e dell’altrettanto nocivo ossido nitroso viene causato dalle deiezioni del bestiame. E non basta. Mucche, tori e pulcini sono responsabili del 64 per cento dell’ammoniaca in circolazione e di conseguenza di dannosissime piogge acide. Per produrre una gustosa lombatina sono necessari 10 mila litri d’acqua. E corsi di fiumi e falde sotterranee vengono contaminati da urine ed escrementi. I danni? Infiniti. A Milwaukee, per esempio, negli anni ‘90 la salmonella e l’escherichia coli colpirono circa 400 mila persone. Centinaia i morti. E’ poi sufficiente vivere nei pressi degli allevamenti industriali - come hanno dimostrato recenti esperimenti della Duke University e il «Journal of Agricultural Safety and Health» - per contrarre un’ampia gamma di malattie, dall’asma alle allergie, dalla depressione alla rabbia, alla confusione mentale. Responsabile è la polvere sollevata da mandrie e batterie di polli che porta in giro muffe e funghi. Nel solo Texas ogni anno volteggiano più di 7.000 tonnellate di micidiali particelle.
I disastri non sono pochi. La produzione mondiale dell’ambito cibo sta conoscendo, per questo, una battuta di arresto? Viene disincentivata? Per nulla. Anzi è in gran crescita. Secondo l’ultimo rapporto Fao il consumo annuo pro capite è raddoppiato: dai 14 chili del 1980 è passato ai 28 del 2002 e vi sarà ancora un altro raddoppio tra un paio di decenni. A dare un notevole contributo oggi ci sono gli appetiti dei paesi più poveri che si stanno conquistando i loro quarti di bue, di carne bianca e rossa. Attualmente la percentuale di anidride carbonica prodotta dagli allevamenti supera quella dell’intero settore dei trasporti nel mondo, ovvero da treni, navi, macchine e aerei. Come dire: la nostra bistecca quotidiana, posta sul piatto della bilancia ambientale, equivale a un viaggio in auto lungo ben 40 chilometri.
La Stampa - 14 maggio 2009
http://www.lastampa.it/lazampa/girata.asp?ID_blog=164&ID_articolo=1187&ID_sezione=339&sezione=News
Rifiuti e gas, l'allevamento danneggia l'ambiente
di MIRELLA SERI
Inquina di più la mia macchina o la cotoletta che ho nel piatto? La questione è solo apparentemente paradossale. Ed è stata sollevata dall’ultimo manifesto vegetariano del guru Jeffrey Moussaieff Masson, «Chi c’è nel tuo piatto?» (Cairo editore). Uscito in America due mesi fa, il saggio di questo ex psicoanalista - che si è dedicato, nell’ultimo decennio, a numerosi best seller sulla psicologia animale - è oggi la bandiera dei neovegetariani in tempi di febbre suina.
Masson ha conquistato non solo le classifiche ma anche gran parte del popolo che, negli States, fa più opinione: quello di Hollywood. Da Julie Christie a Susan Sarandon a Jude Law, oggi più che mai dilaga negli studios il verbo degli aficionados di piatti integrali e verdurine. E questo avviene anche perché il predicatore (come riporta il «New York Times» nell’intervista a Masson) ha elaborato una speciale teoria neovegetariana sull’ampia gamma di veleni derivanti dalla nostra incontenibile voluttà carnivora.
Di che si tratta? Cifre alla mano, Masson avverte che la popolazione mondiale di mucche e maiali conta 2,5 miliardi di esemplari. I rischi? Un sovraffollamento che, prima ancora di finire nei supermercati e in pentola, alloggia negli allevamenti intensivi, le cosiddette - dagli animalisti - Dachau del mondo moderno. La disastrosa onda che ci sommergerà è proprio quella dei debordanti, incontrollabili escrementi dei nostri futuri alimenti. Tanto per farci un’idea: il letame mondiale di bovini e suini ammonta a 80 milioni di tonnellate. Gli insediamenti umani, invece, sono capaci di produrne al massimo 30 milioni. Negli Usa, il quantitativo di rifiuti animali è 130 volte superiore a quello degli uomini. Una città di 50 mila abitanti produce feci pari a quelle di un solo allevamento di maiali.
E allora? Cosa ne deriva? Nei tribolati campi di detenzione - imbottiti di antibiotici, ormoni, venefiche farine - questi eserciti di mucche, scrofe e porcelli ma anche di polli e galline si qualificano come vere e proprie officine di metano.
Il 20 per cento delle emissioni totali di questo gas e dell’altrettanto nocivo ossido nitroso viene causato dalle deiezioni del bestiame. E non basta. Mucche, tori e pulcini sono responsabili del 64 per cento dell’ammoniaca in circolazione e di conseguenza di dannosissime piogge acide. Per produrre una gustosa lombatina sono necessari 10 mila litri d’acqua. E corsi di fiumi e falde sotterranee vengono contaminati da urine ed escrementi. I danni? Infiniti. A Milwaukee, per esempio, negli anni ‘90 la salmonella e l’escherichia coli colpirono circa 400 mila persone. Centinaia i morti. E’ poi sufficiente vivere nei pressi degli allevamenti industriali - come hanno dimostrato recenti esperimenti della Duke University e il «Journal of Agricultural Safety and Health» - per contrarre un’ampia gamma di malattie, dall’asma alle allergie, dalla depressione alla rabbia, alla confusione mentale. Responsabile è la polvere sollevata da mandrie e batterie di polli che porta in giro muffe e funghi. Nel solo Texas ogni anno volteggiano più di 7.000 tonnellate di micidiali particelle.
I disastri non sono pochi. La produzione mondiale dell’ambito cibo sta conoscendo, per questo, una battuta di arresto? Viene disincentivata? Per nulla. Anzi è in gran crescita. Secondo l’ultimo rapporto Fao il consumo annuo pro capite è raddoppiato: dai 14 chili del 1980 è passato ai 28 del 2002 e vi sarà ancora un altro raddoppio tra un paio di decenni. A dare un notevole contributo oggi ci sono gli appetiti dei paesi più poveri che si stanno conquistando i loro quarti di bue, di carne bianca e rossa. Attualmente la percentuale di anidride carbonica prodotta dagli allevamenti supera quella dell’intero settore dei trasporti nel mondo, ovvero da treni, navi, macchine e aerei. Come dire: la nostra bistecca quotidiana, posta sul piatto della bilancia ambientale, equivale a un viaggio in auto lungo ben 40 chilometri.
La Stampa - 14 maggio 2009
http://www.lastampa.it/lazampa/girata.asp?ID_blog=164&ID_articolo=1187&ID_sezione=339&sezione=News
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