Lancet: più che dimezzare il consumo di carne
Dal Lancet: occorre più che dimezzare il consumo di carne
Nel numero del 13 settembre della rivista scientifica internazionale "The Lancet", l'articolo "Cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute" mostra quanto questi aspetti siano correlati tra loro e quanto sia urgente una diminuzione drastica del consumo di carne per evitare il disastro ambientale. E la responsabilità, sottolineano, è di tutti.
Nell'abstract, gli autori - scienziati di varie università in Australia, Gran Bretagna e Cile - spiegano che il cibo fornisce energia e nutrimento, ma anche per produrlo occorre spendere energia e la quantità di energia spesa per unità di energia ottenuta dal cibo è in continuo aumento. La correlazione tra energia, cibo e salute è oggi molto complessa e pone delle sfide molto serie alle istituzioni di tutto il mondo. Esiste ancora la malnutrizione, ma esiste anche il problema opposto della sovralimentazione, che causa obesità e altre conseguenze per la salute molto rilevanti.
Nel mondo, le attività agricole, in special modo l'allevamento del bestiame, sono responsabili per circa un quinto del totale delle emissioni di gas serra, che contribuiscono al cambiamento climatico. Le istituzioni dovrebbero prestare una particolare attenzione ai rischi per la salute dovuti al rapido aumento del consumo di carne, rischi dovuti sia all'impatto delle produzione di carne sul cambiamento climatico sia al diretto contributo all'insorgenza di alcune malattie legate al consumo di alimenti animali.
Per prevenire l'aumento di emissioni di gas serra occorre ridurre sia il livello globale dei consumi di prodotti animali, sia l'intensità delle emissioni. La proposta è quella di una strategia di contrazione dei consumi e convergenza verso un livello di consumo sostenibile. L'attuale media globale dei consumi di carne è di 100 grammi al giorno per persona, ma con molte differenze (anche di 10 volte) tra le varie regioni del mondo (vedi tabella).
L'unica soluzione è dunque quella di ridurre il consumo di prodotti animali da parte dei paesi più ricchi, e fissare una soglia da non superare per i paesi in via di sviluppo, in modo che tutti i paesi convergano verso lo stesso livello di consumo, molto più basso di quello attuale dei paesi ricchi: non più di 90 grammi di carne al giorno pro-capite.
Tabella:
Regione - Consumi giornalieri di carne pro-capite in grammi
Africa 31
Asia meridionale e orientale 112
Asia occidendale (compreso il medio oriente) 54
America Latina 147
Paesi in via di sviluppo (media) 47
Paesi sviluppati (media) 224
Totale 101
Per arrivare a 90 grammi, nei paesi industrializzati come l'Italia, occorre dunque più che dimezzare il consumo di carne, per la precisione arrivare a un consumo che sia del 40% rispetto all'attuale.
Secondo l'articolo del Lancet, in alcuni paesi l'energia totale spesa per la produzione di cibo è molto superiore a quella ottenuta dal cibo stesso, il che non è ormai più sostenibile. Un altro aspetto messo in luce è quello della scarsità del terreno utilizzabile per coltivare mangimi per gli animali o per far pascolare gli animali. Ormai la domanda crescente di carne che arriva dai paesi in via di sviluppo può essere soddisfatta (e solo in parte) usando le foreste pluviali del Sud America, specie del Brasile, Bolivia e Paraguai.
L'articolo degli esperti di nutrizione illustra inoltre una serie di punti e dati statistici molto interessanti e precisi che vogliamo qui riassumere:
- Le emissioni di gas serra causate dal settore agricolo sono pari al 22% del totale; come percentuale questa è simile a quella dovuta all'industria e maggiore di quella dovuta al settore dei trasporti. L'allevamento di bestiame (compresa la coltivazione del mangime e il trasporto) contribuisce per l'80% al totale del settore agricolo.
- Il metano e l'ossido nitroso - entrambi potenti gas serra e strettamente associati all'allevamento di bestiame - contribuiscono al totale per il settore agricolo molto di più dell'anidride carbonica.
- Data la situazione, è urgente un intervento per bloccare le emissioni dovute all'agricoltura e soprattutto all'allevamento. Invece, il numero di animali allevati è in crescita continua e si prevede che lo sarà ancora per decenni, specie nei paesi in via di sviluppo.
- Le tecnologie applicabili a costo sostenibile possono ridurre le emissioni al massimo di un 20%, per questo l'unica soluzione realisticamente applicabile è quella della contrazione dei consumi.
La conclusione degli scienziati, con la quale il NEIC - Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione - non può che essere d'accordo, e che farà il possibile per diffondere e sostenere, è che il problema del cambiamento climatico richiede risposte forte e radicali. Come sostengono gli autori dell'articolo, all'obiezione secondo cui la diminuzione dei consumi e la convergenza verso un livello comune non potrà funzionare perché la gente ama mangiare carne, si deve rispondere con l'urgenza e la necessità estrema di un cambiamento per fermare un problema ben più serio delle preferenze alimentari delle persone.
Le persone più informate, nei paesi ricchi, specie in Gran Bretagna, stanno già dimostrando di voler ridurre il consumo di cibi animali, a quanto sembra soprattutto per prevenire il rischio di malattie cardiovascolari. Per aiutare le persone a fare questa scelta, affermano gli autori, sarà utile eliminare i sussidi statali alla produzione di mangimi animali (grano e soia), in modo che il prezzo al consumo rispecchi i reali costi, e quindi aumenti. Questo inoltre aiuterebbe a dirottare i raccolti verso i paesi poveri, per il diretto consumo umano, riducendo la "concorrenza" tra la coltivazione di cibo per gli animali e quella di cibo per gli umani.
La proposta porterebbe a molti effetti collaterali positivi: una dieta più sana, migliore qualità dell'aria, maggiore disponibilità di acqua, una razionalizzazione dell'uso dell'energia e della produzione di cibo.
Naturalmente, aggiungono gli esperti del NEIC, maggiore sarà la contrazione dei consumi di alimenti animali, maggiore sarà il benessere che si può raggiungere da ogni punto di vista: impatto sull'ambiente, consumo di risorse ed energia, salute, benessere degli animali.
Comunicato del NEIC - Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione - http://www.nutritionecology.org/it/
Fonte: Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007 http://www.eurekalert.org/images/release_graphics/pdf/EH5.pdf
Nel numero del 13 settembre della rivista scientifica internazionale "The Lancet", l'articolo "Cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute" mostra quanto questi aspetti siano correlati tra loro e quanto sia urgente una diminuzione drastica del consumo di carne per evitare il disastro ambientale. E la responsabilità, sottolineano, è di tutti.
Nell'abstract, gli autori - scienziati di varie università in Australia, Gran Bretagna e Cile - spiegano che il cibo fornisce energia e nutrimento, ma anche per produrlo occorre spendere energia e la quantità di energia spesa per unità di energia ottenuta dal cibo è in continuo aumento. La correlazione tra energia, cibo e salute è oggi molto complessa e pone delle sfide molto serie alle istituzioni di tutto il mondo. Esiste ancora la malnutrizione, ma esiste anche il problema opposto della sovralimentazione, che causa obesità e altre conseguenze per la salute molto rilevanti.
Nel mondo, le attività agricole, in special modo l'allevamento del bestiame, sono responsabili per circa un quinto del totale delle emissioni di gas serra, che contribuiscono al cambiamento climatico. Le istituzioni dovrebbero prestare una particolare attenzione ai rischi per la salute dovuti al rapido aumento del consumo di carne, rischi dovuti sia all'impatto delle produzione di carne sul cambiamento climatico sia al diretto contributo all'insorgenza di alcune malattie legate al consumo di alimenti animali.
Per prevenire l'aumento di emissioni di gas serra occorre ridurre sia il livello globale dei consumi di prodotti animali, sia l'intensità delle emissioni. La proposta è quella di una strategia di contrazione dei consumi e convergenza verso un livello di consumo sostenibile. L'attuale media globale dei consumi di carne è di 100 grammi al giorno per persona, ma con molte differenze (anche di 10 volte) tra le varie regioni del mondo (vedi tabella).
L'unica soluzione è dunque quella di ridurre il consumo di prodotti animali da parte dei paesi più ricchi, e fissare una soglia da non superare per i paesi in via di sviluppo, in modo che tutti i paesi convergano verso lo stesso livello di consumo, molto più basso di quello attuale dei paesi ricchi: non più di 90 grammi di carne al giorno pro-capite.
Tabella:
Regione - Consumi giornalieri di carne pro-capite in grammi
Africa 31
Asia meridionale e orientale 112
Asia occidendale (compreso il medio oriente) 54
America Latina 147
Paesi in via di sviluppo (media) 47
Paesi sviluppati (media) 224
Totale 101
Per arrivare a 90 grammi, nei paesi industrializzati come l'Italia, occorre dunque più che dimezzare il consumo di carne, per la precisione arrivare a un consumo che sia del 40% rispetto all'attuale.
Secondo l'articolo del Lancet, in alcuni paesi l'energia totale spesa per la produzione di cibo è molto superiore a quella ottenuta dal cibo stesso, il che non è ormai più sostenibile. Un altro aspetto messo in luce è quello della scarsità del terreno utilizzabile per coltivare mangimi per gli animali o per far pascolare gli animali. Ormai la domanda crescente di carne che arriva dai paesi in via di sviluppo può essere soddisfatta (e solo in parte) usando le foreste pluviali del Sud America, specie del Brasile, Bolivia e Paraguai.
L'articolo degli esperti di nutrizione illustra inoltre una serie di punti e dati statistici molto interessanti e precisi che vogliamo qui riassumere:
- Le emissioni di gas serra causate dal settore agricolo sono pari al 22% del totale; come percentuale questa è simile a quella dovuta all'industria e maggiore di quella dovuta al settore dei trasporti. L'allevamento di bestiame (compresa la coltivazione del mangime e il trasporto) contribuisce per l'80% al totale del settore agricolo.
- Il metano e l'ossido nitroso - entrambi potenti gas serra e strettamente associati all'allevamento di bestiame - contribuiscono al totale per il settore agricolo molto di più dell'anidride carbonica.
- Data la situazione, è urgente un intervento per bloccare le emissioni dovute all'agricoltura e soprattutto all'allevamento. Invece, il numero di animali allevati è in crescita continua e si prevede che lo sarà ancora per decenni, specie nei paesi in via di sviluppo.
- Le tecnologie applicabili a costo sostenibile possono ridurre le emissioni al massimo di un 20%, per questo l'unica soluzione realisticamente applicabile è quella della contrazione dei consumi.
La conclusione degli scienziati, con la quale il NEIC - Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione - non può che essere d'accordo, e che farà il possibile per diffondere e sostenere, è che il problema del cambiamento climatico richiede risposte forte e radicali. Come sostengono gli autori dell'articolo, all'obiezione secondo cui la diminuzione dei consumi e la convergenza verso un livello comune non potrà funzionare perché la gente ama mangiare carne, si deve rispondere con l'urgenza e la necessità estrema di un cambiamento per fermare un problema ben più serio delle preferenze alimentari delle persone.
Le persone più informate, nei paesi ricchi, specie in Gran Bretagna, stanno già dimostrando di voler ridurre il consumo di cibi animali, a quanto sembra soprattutto per prevenire il rischio di malattie cardiovascolari. Per aiutare le persone a fare questa scelta, affermano gli autori, sarà utile eliminare i sussidi statali alla produzione di mangimi animali (grano e soia), in modo che il prezzo al consumo rispecchi i reali costi, e quindi aumenti. Questo inoltre aiuterebbe a dirottare i raccolti verso i paesi poveri, per il diretto consumo umano, riducendo la "concorrenza" tra la coltivazione di cibo per gli animali e quella di cibo per gli umani.
La proposta porterebbe a molti effetti collaterali positivi: una dieta più sana, migliore qualità dell'aria, maggiore disponibilità di acqua, una razionalizzazione dell'uso dell'energia e della produzione di cibo.
Naturalmente, aggiungono gli esperti del NEIC, maggiore sarà la contrazione dei consumi di alimenti animali, maggiore sarà il benessere che si può raggiungere da ogni punto di vista: impatto sull'ambiente, consumo di risorse ed energia, salute, benessere degli animali.
Comunicato del NEIC - Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione - http://www.nutritionecology.org/it/
Fonte: Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007 http://www.eurekalert.org/images/release_graphics/pdf/EH5.pdf
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