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Vitelli o piselli? Maiali o fagioli?


di Marinella Correggia

I Paesi Bassi sono grandi produttori di carne suina. Ma qualche settimana fa l'Institute of Environmental Studies dell'Università di Vrije ha presentato al Ministro dell'Agricoltura la pubblicazione Sustainable protein production and consumption: Pigs or peas? («Produzione e consumo di proteine sostenibili: maiali o piselli?»), risultato del programma multidisciplinare Profetas (Protein Foods, Environment, Technology and Society) che da anni analizza la fattibilità ambientale, tecnica e sociale di una transizione alimentare a proteine di fonte vegetale (le «novel protein foods», Npf).

Produrre abbastanza cibo per una popolazione mondiale di dieci miliardi di persone sembra tecnicamente possibile ma farlo senza compromettere la sostenibilità è una sfida formidabile già ora, a quota sei miliardi. Globalmente il settore assorbe il 75% dell'acqua dolce e il 20% dell'energia. Un terzo di tutti i trasporti sono legati al viaggio degli alimenti; un terzo delle terre emerse (escluse le aree ghiacciate) è destinato alla produzione alimentare. E' la filiera produttiva zootecnica ad avere l'impatto più rilevante in termini di utilizzo delle risorse (occupazione dei suoli, perdita di biodiversità e foreste, uso dell'acqua) e di inquinamento (cambiamenti climatici, pesticidi, eutrofizzazione). Ciò avviene per l'inefficiente tasso di conversione alimentare: in media occorrono da due a 15 kg di vegetali per un kg di prodotti animali; così il 40-50 per cento del raccolto globale di vegetali è ogni anno destinato a mangime. Nel mondo acquatico, decenni di pesca con metodi insostenibili hanno drasticamente impoverito gli stock ittici, e l'acquacoltura non pare in grado di produrre abbastanza pesce in modo sostenibile sostituendo gli stock ittici esauriti: i pesci carnivori sono consumatori netti di proteine, e quelli erbivori quando allevati richiedono vegetali da agricoltura intensiva e notevoli input energetici (per non parlare della distruttività degli allevamenti di gamberetti). E' dunque uno scenario molto preoccupante quello che negli ultimi 40 anni ha visto più che raddoppiare la produzione mondiale di proteine animali: da 25 miliardi di kg a 60 miliardi.

Secondo la ricerca olandese, la strada verso modalità sostenibili di produzione e consumo alimentare inizia dalla rivoluzione nell'attuale catena di produzione delle proteine. Secondo i risultati preliminari, i benefici ambientali di una transizione alle vegetali potrebbe ridurre di 3 o 4 volte il fabbisogno di terra ed energia, e del 30 o 40 per cento il fabbisogno di acqua e l'impatto eutrofizzante. E migliorerebbe la salute sia nei paesi ricchi (meno obesità e meno malattie) sia nei paesi del Sud del mondo, dove si renderebbe disponibile una maggiore quantità di proteine a uso umano: basti pensare, e terra terra ne ha scritto più volte, che oggi terre estesissime sono destinate a produrre proteaginose per le stalle europee.

Profetas ha individuato diverse barriere alla transizione: l'elevato status sociale della carne; la forza dei potentati economici; la scarsità di ricerca e investimenti in materia di proteine vegetali. Come risultato, nei paesi dell'affluenza solo una minoranza - seppure in aumento - evita la carne; e nei paesi dal reddito mediamente basso o medio, il consumo di carne e prodotti animali aumenta rapidamente. Non basterebbe dunque un passaggio alle Npf da parte dei soli consumatori nei paesi ricchi per rendere leggera la produzione alimentare (del resto si pone anche il problema della globalizzazione del consumo di alimenti vegetali).

Come indurre la rivoluzione verso le proteine sostenibili? Sul lato dell'offerta, dovrebbero incoraggiarlo i governi nazionali e le organizzazioni internazionali anche con una - difficile ma efficace - politica di internalizzazione dei costi ambientali della filiera zootecnica, compreso il meccanismo di tassazione delle emissioni. E sul lato della domanda, gli attori più diversi (da quelli istituzionali all'associazionismo al mondo della produzione) potrebbero indurre il cambiamento nelle scelte di consumo. Un processo cruciale e lento, che può richiedere almeno una generazione. Ma che sta dando risultati, anche attraverso campagne e occasioni di sensibilizzazione e approfondimento. Come il Vegfestival, la cui quarta edizione si è aperta ieri a Torino (www.vegfestival.org): in un ampio spazio, fino a domenica, stand, ristoranti, dibattiti, consulenze di esperti, presentazione di progetti. Come la coltivazione e trasformazione di soia bio per la produzione di «latte» nutriente e a basso costo da parte di comunità rurali in Burkina Faso, con il sostegno della campagna «Contro la fame un'altra alimentazione è possibile».


Fonte: "Il Manifesto" del 17 giugno 2006
Link: http://www.ilmanifesto.it/terraterra/archivio/2006/Giugno/44944476cac59.html





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