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Vegeterianesimo e nonviolenza


di Aldo Capitini

Il vegetarianesimo è in stretto rapporto con i problemi morali e religiosi, ed anzitutto con il problema dei fini e dei mezzi. E' noto quanto rilievo dette il Kant alla distinzione tra esistenze che non debbono essere considerate semplicemente come mezzo, trovandosi in esse la razionalità, la spiritualità, l'umanità che è fine, ed esistenze che sono semplicemente mezzi, strumenti, tali da servire ad altro.

Ma qui c'è súbito da osservare questo: che la distinzione tra ciò che deve essere considerato come un fine, e ciò che non può essere considerato che come mezzo, non è per nulla una divisione fissa e eterna, perché il progresso sta proprio nell'ampliare la sfera di ciò che è fine, e per es. l'esistenza dello schiavo valeva una volta semplicemente come mezzo, ora invece vale come fine.

Lo Hegel esamina il problema del rapporto tra i fini e i mezzi nell’annotazione al paragrafo 140 della Filosofia del Diritto: pur riconoscendo che certamente alcune volte vi sono dei beni che debbono essere considerati inferiori e come .semplici mezzi rispetto a beni superiori, egli afferma chiaramente che altre volte, quando si tratti di un'azione oggettivamente e chiaramente definibile come un delitto, non possa essa divenire lecita come mezzo ad fine da noi soggettivamente dichiarato.

Cioè lo Hegel, pur nella pesantezza della sua prassi tutt'altro che nonviolenta, lascia aperta una via: che noi accresciamo, mediante il contributo della nostra vita morale, religiosa, sociale, il riconoscimento che certe azioni non si debbono fare per nessuna ragione, ed allora esse entreranno nel cerchio di quei "delitti".

Così è avvenuto circa la schiavitú giuridica, cosí potrebbe avvenire per il salariato proletario; cosí è avvenuto per l'antropofagia, e cosí potrà avvenire per il carnivorismo.

Gettare fasci di nuova luce, di attenzione e di amicizia, su categorie di esseri considerati prima come mezzi, vederli anche come fini, come esseri collaboranti ed aventi diritti, questo diminuisce l'estensione dell'impero del nostro arbitrio.

Ma mille cose che noi prima ottenevamo per comando, le otterremo per cooperazione. In fondo a questa strada sta l'ideale di una realtà in cui non ci sia piú nulla che sia soltanto mezzo, cosa, strumento, ma tutto sia soggetto e oggetto di amore.

Non c'è bisogno di spiegare che la decisione vegetariana fa fare un buon passo in avanti nella soluzione di questo problema, perché a gruppi di animali viene fatta una specie di dichiarazione di affetto ed eventualmente anche di collaborazione, una dichiarazione pratica che apre il nostro anìmo ed estende la realtà della libera convivenza.

Si capisce che ci sono dei limiti e dei gradi, ma il passo è notevole. Basta, per osservarlo meglio, volgersi indietro, e vedere quanto abbiamo lasciato indietro quelle cóncezioni teologiche o filosofiche che consideravano gli animali come esseri che non hanno una ragione individuabile di esistere e destinati al nulla ed esclusi dall'eternità, il cui dolore non ha nessuna luce di domani, e che forse non è che lo stridío di congegni meccanici.

Il vegetarlanesimo trae fuori da questa posizione orgogliosa ed immobile, perché mette in atto un'intenzione aperta a far di più delle precedenti consuetudini, ad estendere il numero degli amici nel mondo ed anche in una realtà migliore, a cercare attivamente perché si includano sempre nuove categorie di animali in questo nuovo rapporto da cui è esclusa l'uccisione; sicché uno vede come crescere sotto i suoi occhi una società migliore, e spera di potere ogni giorno amare di piú.

Quando esistenze che parevano essere soltanto mezzi, risultassero invece così valevoli, legate all'instaurazione di un mondo migliore e perciò l’atto dell'uccisione si caricasse di riprovazione, sarebbe avvenuto un progresso di vita spirituale.

E' facile osservare che il vegetarianesimo è in stretto rapporto anche con un altro problema morale, che è quello della responsabilità della libera iniziativa.

Siamo noi liberi nelle nostre decisioni? Noi rispondiamo che ogni atto ha qualche cosa di nuovo, e non è la perfetta ripetizione del precedente; e in questo " qualche cosa di nuovo" c'è il posto per un'iniziativa, per un'ispirazione, per un impulso che possiamo collocarvi.

Ma c’e atto e atto: c'è l’atto in cui questo elemento nuovo e personale e attuale è minimo, perché lo spirito sonnecchía, o si fa prendere dall'influenza di forze esterne, e allora i movimenti sono quasi meccanici, come ruota che muove ruota; e c'è l'atto che è vivo, desto, vigile, che considera tutto ma non si fa influenzare.

Orbene ]a nonviolenza nella sua essenza si riporta proprio a questo principio di libera decisione personale di amorevolezza verso l'altro essere, quale che sia la sua condotta: è la proposta pratica di un modo nuovo, al posto dell'indifferenza o dell’odio; l'offerta di un tu che può diventare sempre piú profondo.

E' inutile fare a questo proposito citazioni somme dal pensiero orientale o dal pensiero occidentale. Basti soltanto insistere sul carattere di questo "fare aperto", rivolto ad un essere indipendentemente dalla sua condizione, dalla sua razza, dalla sua condotta anche.

Amore ed aiuto: l'atto del Samaritano. Il perdòno come espressione della differenza tra il peccato, che è passeggero come tutti i fatti, e il peccatore che è infinita possibilità di meglio.

Il vegetarianesimo è il rivolgersi a un gruppo di esseri non umani prendendo l'iniziativa di stabilire un rapporto di apertura, e non più di indifferenza o di crudeltà. E questo allargamento fa si che sia a maggior ragione difficile l’indifferenza o la crudeltà verso gli uomini.

Confesso che io diventai vegetariano propria sotto il regime della violenza fascista che preparava la guerra, perché pensavo che se si imparava a risparmiare l’uccisione di animali, con maggior ragione si sarebbe risparmiata l'uccisione di uomini.

Ma il vegetarianesimo è in rapporto anche con la scelta del metodo di azione politica e sociale. Se noi non abbiamo una concezione dualistica della realtà, per cui ad alcuni esseri spetti per nascita un destino e ad altri esseri un altro destino, ma una concezione monistica, negando perciò un'assoluta differenza qualitativa tra uomo e animale, e se affrontiamo il problema della liberazione dei gruppi e classi che entro questa unità sono ancora oppressi e sfruttati, noi avremmo due modi: o quello che noi coscienti liberassimo gli oppressi anche se non si rendessero conto de] loro stato; o quello che noi stimolassimo negli oppressi coscienza e volontà rivoluzionaria.

Orbene, gli animali possono liberarsi da loro? Non pare, perché le loro iniziative sono nel complesso controllate dal genere umano, e sospinte costrittivamente entro certi limiti; tanto piú che tali iniziative degli animali appaiono semplicemente vitali, e non tali da avere pieno diritto di cittadinanza e parità nel complesso modo di realizzarsi che è degli uomini.

Se si vedessero così, gli animali sarebbero chiusi in un destino inferiore, sorpassati da noi e incapaci di raggiungere il nostro livello e di liberarsi con noi. Ma di contro a questo modo chiuso di considerarli c'é un modo aperto, che considera ogni essere come l'inizio di un’apertura e di ulteriori possibilità.

Accanto ad ogni essere, ci mettiamo in un'azione progressiva, e crediamo che quell'essere possa liberarsi e svolgersi a meglio e a più. Non guardiamo al punto di partenza che può essere diverso tra noi e lui, e pieno di limiti; ma al punto di arrivo comune, una realtà liberata che comprenda tutti.

Da ciò deriva un diverso modo di condurre la lotta: o gli animali sono come un avanzo del passato, o sono uniti a noi in un destino di liberazione. In questo secondo caso, noi prendiamo iniziative di speranza, di av- vicinamento, di linguaggio, di concordia, con la persuasione che se anche, nel momento attuale, essi non sono consapevoli esattamente dell'orizzonte verso cui possono andare, lo saranno.

Cioè non importa che la rivoluzione liberatrice la facciano loro; è possibile prendere insieme una serie di iniziative liberatrici. E molto importante è, tra queste, quella vegetariana, che libera noi e loro da un vecchio modo di essere.

Sta prendendo sempre maggior rilievo nella filosofia e nella pedagogia la concezione che l'indìviduo abbia in sé una riserva di possibilità, di qualità sviluppabili, di atteggiamenti nuovi, che possono essere evocati o possono restare sepolti allo stato potenziale.

Si è visto poco prima che sarebbe errato considerare il fanciullo come un carico di un'energia violenta ed egocentrica che vada incanalata e trasformata per condurla a risultati civili: il fanciullo ha anche tendenze di socievolezza, di fraternità, di unità amore, di dedizione; e sta all'ambiente che noi collochiamo intorno a lui di confermarlo in queste tendenze superiori.

Se l'individuo umano visto cosí nelle sue potenzialità, è tanto complesso, perché non ritenere che anche nell'individuo animale possano essere destate qualità inedite, che altrimenti resterebbero chiuse? Tanto è il valore dell'atto, dell’incontro con l'animale, di quel senso di sicurezza che esso deve provare accanto a noi, che deve rendere quasi stupefatto dopo l'orrore delle stragi che l'umanità compie instancabilmente nel campo animale!

Se si pensa ai veleni che l'animale diffonde nel proprio corpo al momento del supremo spavento dell'uccisione, veleni che saranno poi assunti dai mangiatori della carne stessa, si comprende come la piacevole sorpresa della pace non possa che sprigionare ispirazioni nuove negli animati.

Io l'ho studiato per es. in quegli esseri che sono i gatti, quando si convincono di non aver piú ragione di temere da una persona vicina.

E sempre da questo lato del valore dell'atto è da considerare, secondo me, che l'alimentazione vegetariana non si riflette soltanto, come è stato studiato, per la qualità dei cibi, che diversamente influenzano il costituirsi psichico nostro, ma per il fatto che l'atto stesso del mangiare viene ad essere elevato dal piano della semplice utilità ad un piano in cui viene celebrato un atto di amicizia, una vicinanza cosmica. Anche questa estensione dei significati spirituali ad atti che ne erano privi è indizio di progresso.

Se uno si accinge a mangiare qualsiasi cosa purché egli sia convinto che ne ritragga forza; ed un altro invece voglia scegliere ciò che mangia non solo col criterio dell'efficacia, ma anche il criterio di non distruggere forme rilevanti di vita e di non produrre dolori crudeli; questo segnala una differenza netta; il secondo atto ha un peso diverso dal primo, e ci fa diversi.

Ebbene questa intenzione di elevare e purificare i nostri atti rientra nel problema morale moderno di purificare la prassi, di non accettare qualsiasi prassi, ma solo quella che è riferita a valori alti e progressivi.

Ben ha fatto la filosofia moderna dal Kant ad oggi a dare tanto rilievo all'azione, alla pratica; ma questo indica meglio il dovere che abbiamo di purificare la pratica: un eccellente e moderno maestro in questo è stato Gandhi.

Il vegetarianesimo si presenta come un prezioso contributo per la trasformazione dell'uomo e della realtà. E’ noto che la piú profonda aspirazione dell'uomo non è di restare così ma di trasformarsi in meglio, di far posto ad una razza piú elevata.

Naturalmente questa evoluzione o salto in avanti non è visto secondo bravura, potenza, tecnica, cerebralità; ma è visto secondo il meglio che l'uomo possa raggiungere: indipendenza da motivi sensibili, apertura amorevole agli altri esseri, capacità di produrre valori morali ed estetici piú puri. Una trasformazione non in senso atomico (che dal punto di vista morale non significherebbe nulla), ma nel senso di un piú visibile regno dello spirito.

A questa trasformazione dell'uomo il vegetarianesimo contribuisce perché fonda nell'uomo una solidarietà con tanti esseri che prima teneva per cose, e sviluppa un senso corale della vita e non egocentrico.

Ma anche alla trasformazione della realtà il vegetarianesimo dà il suo contributo. Si sa che molti hanno parlato del dolore degli animali. Il filosofo Malebranche osservò nella " Recherche de la vérité " (cfr. P. Martinetti, Saqgi e discorsi, pag. 213) che gli animali non possono sentire, e quindi non soffrono il dolore, altrimenti questo sarebbe in contradizione con un Dio infinitamente potente e giusto. Ma come si può dire che gli animali non sentono il dolore? E come si risolve l'angoscioso problema?

Soltanto con l'iniziativa, assumendo il proposito di non dare noi il dolore, di non dare noi la morte. Chi sa che la realtà non dia il dolore e la morte proprio perché noi diamo il dolore e la morte? Dobbiamo cambiare noi profondamente; la realtà forse ci seguirà, si trasformerà: ora, con la nostra cattiva condotta non abbiamo nessun diritto di farle rimproveri.

Si potrebbe porre il problema se gli animali abbiano diritti, abbiano, doveri, come è di ogni vita morale. Noi abbiamo già visto che il problema del rapporto tra gli uomini e gli animali è in sviluppo, e una tappa è certamente il vegetarianesimo. Alcuni diritti di molti codici sono stati riconosciuti agli animali, per es. di non essere tormentati che in certe condizioni. Lo sviluppo continuerà. Ma il fatto da osservare è che questi punti vengano raggiunti in genere per iniziativa umana; il che spiega anche che difficilmente si possa parlare di " doveri " da parte degli animali, anche se talvolta questo discorso è stato fatto e si sono impiantati perfìno processi.

Questo è il campo dove bisognerà piú lavorare e sperimentare e creare; e forse si arriverà a risultati piú precisi di quanto immaginiamo. Quello che è chiaro è questo: che l’iniziativa nostra di protezione degli animali ci educa a lavorare non solo quando c'è il contraccambio in una società di uguali; ma anche quando noi dobbiamo essere centro di un lavoro che è dato senza ricevere, e senza calcolare i risultati.

Per evitare che la vita sociale sia vista soltanto nelle istituzioni e nei legami giuridici, questo farsi centro di iniziative di " puro dare " allarga ed eleva l’orizzonte.

Il vegetarianesimo influenza dinamicamente la vita morale caricando il nostro atto con il valore della " buona intenzione ", con riferimenti ampi e universali, reagendo anche alle abitudini e alle tradizioni errate; e la influenza creando un costume, un mos, un modo civile diverso.

La vita morale ispirata dal vegetarianesimo non è soltanto di omaggio al vivente, ma è anche di inquietudine e perciò più aperta; noi vorremmo estendere il principio del rispetto della vita, e perciò, rifiutato il carnivorismo, cerchiamo ancora se non sia possibile risparmiare la vita delle piante e facciamo dei buoni progressi, ma non siamo pienamente soddisfatti.

Ebbene anche questa inquietudine è un bene per la vita morale perché la mantiene aperta, perché le impedisce di credere di aver fatto tutto, e di essere perfetta. E' morale non la perfezione di essere perfetti, ma lo sforzo e la speranza di migliorare.

Il valore educativo della scelta di una certa alimentazione per motivi che, non in disaccordo con le necessità vitali, si riportano ad una concezione della vita e ad un ideale pratico (sto raccogliendo un’inchiesta tra fanciulli sulla tendenza alla zoofilia ed al rifiuto dell'alimentazione carnivora), mi porta a dire qualche cosa di un tutt'altro aspetto dell'educazione dei fanciulli, ma egualmente fondamentale, che è quello dello studio della storia, del modo del contatto con il passato.

Come il mutamento del tipo di alimentazione viene a contrastare al pregiudizio che nel passato si è fatto diversamente, cosí nello studio della storia a cui vengono aiutati i fanciulli, si potrebbe incontrare la smentita al progetto di educazione alla nonviolenza per il fatto che la storia è piena di violenza.

Veramente in questi ultimi decenni, ed anche in Italia nell'ultimo quindicennio, si è fatto molto per opera di studiosi e anche di istituzioni come l'Unesco, per impostare diversamente lo studio della storia, più come ricerca dello svolgimento dell'umanità nelle opere della vita morale, culturale, scientifica, tecnica, industriale, che come frequente ricorso alla violenza.

Dice Guido Calogero: " Cosí la storia è acquisizione di abitudini e la storia della civiltà è conquista di abitudini di civiltà. Quanto più l'educazione innalza, o abbassa, il livello morale tali abitudini, tanto piú sale, o discende, il grado della civiltà ". (La scuola dell'uomo, già edita nel 1939, e 1956, ed. Sansoni, Firenze, pag. 123).

Il Dewey, in Democrazia ed educazione (trad. it., ed. La Nuova Italia, Firenze, 1954, pag. 289) scrive: " La storia economica è piú umana, piú democratica, e perciò piú liberatrice della storia politica. Non considera il sorgere e il cadere dei principati e delle potenze, ma lo sviluppo delle libertà reali dell'uomo mercè il suo dominio sulla natura comune per il quale esistono le potenze e i principati".

Cosí si educa a guardare non le divisioni umane, o la elezione provvidenziale di popoli a guidatori violenti della storia di tutti, ma l'unità umana progrediente nell'istaurazione del dominio sulla natura, baconianamente secondo la scienza. Senza dubbio, un vantaggio. Ma basta questo?

Riprendiamo il Calogero: egli vede gli individui da capir meglio, e, attraverso questo, "una piú complessa comprensione di umaniità comune" "Se è vero, che importa dare ai giovani il senso del passato, della mutazione delle cose, dello sforzo tecnico che è stato necessario per cambiarle, è anche vero che il culmine dell'intelligenza storica coincide col nostro dovere morale di intendere nel modo piú compiuto gli aspetti e i motivi delle azioni di quegli individui che sul corso delle cose hanno avuto maggiore influenza, passando dí mano in mano dalle ricostruzioni e dai giudizi piú sommari, di cui essi sono fatto oggetto o nel vivo dell'azione stessa o comunque in interpretazioni storiche piú superficiali e polemiche a interpretazioni sempre piú adeguate e comprensive, in cui ogni parziale motivo di reazione o di approvazione pratica risulti sempre meglio inquadrato nella globale serenità dell'intendimento".

Per questa attenzione agli individui che il Calogero esige, lo studio del passato si fa parallelo alla vita etica, che è appunto riconoscimento di persone: " L'esortazione e l'addestramento alla storia non è che l'esortazione e l'addestramento a capire sempre meglio gli altri, e quindi a vivere sempre piú accortamente e insieme generosamente con loro, al di là di ogni odio, e al di là di ogni entusiasmo " (G. Calogero. Scuola sotto inchiesta ", ed. Einaudi, Torino, 957, pag. 161, nel cap. XVIII intitolato "Modi di insegnare la storia").

Si hanno dunque due direzioni: una è quella di intendere la positività della storia nel progresso del lavoro e della unificazione umana, e nell'innalzamento del livello morale della condotta umana; l'altra è quella di riconoscere nella storia esseri umani da capire; il che lascia liberi noi oggi di portare l'attenzione e il rispetto verso gli altri fino alla nonviolenza.

Cioè oggi siamo al punto per cui ciò che nel passato è avvenuto, non è accettato come determinante la nostra condotta, come se non potesse essere diversa; e si è giunti a questo punto, riconoscendo sia che sarebbe errata la prospettiva che mettesse al primo piano l'uso della forza nel rapporto tra esseri umani, sia che la storia è fatta da individui che hanno le loro ragioni, e perciò noi possiamo ben averne altre, una nostra creatività, per dare un altro indirizzo ai fatti, e con lo spirito non di condannare gli altri, ma di aggiungere e far vivere altri modi di realizzazione.

In una concezione aperta della realtà, per cui essa non è un sistema chiuso ed escludente altro, c'è posto per educare alla scelta di modi nonviolenti di azione, e alla sua volta, tale educazione sollecita a formarsi quella concezione aperta della realtà.

Aldo Capitini, "Aspetti dell’educazione alla nonviolenza", Pisa, Pacini Mariotti, 1959



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